Sin dal 2008 le criptovalute, nate con la comparsa del Bitcoin, dividono la comunità finanziaria internazionale. C’è chi le reputa un investimento profittevole – soprattutto nel lungo periodo – e chi condanna l’utilizzo di valute digitali, definendole instabili e illegittime, in quanto non riconosciute legalmente. Esse, infatti, non sono emesse né garantite da una banca centrale o da un’autorità pubblica e non godono dello status giuridico di valuta o di moneta.

Recentemente sono cadute nel mirino di numerosi governi, per lo più europei, a causa del preoccupante rapporto tra criptovalute e i fenomeni di attività di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. Infatti, György Matolcsy, governatore della Banca d’Ungheria, afferma in una nota ufficiale: “l’UE dovrebbe vietare il metodo di mining utilizzato per produrre la maggior parte dei nuovi bitcoin […] le criptovalute potrebbero servire ad attività illegali e tendono a costruire piramidi finanziarie”.

L’impiego delle criptovalute in attività illecite

In quanto rappresentazione di valore digitale, molti faticano a comprenderne l’utilizzo, soprattutto se associate al termine “riciclaggio”. Alla base di questo rapporto si pone il concetto base delle criptovalute, cioè quello di “riservatezza”, che effettivamente si concretizza in un’associazione non necessaria ad identità del mondo reale per effettuare movimenti di denaro.

Sarebbe questa modalità di riconoscimento fittizio, che avviene tramite l’utilizzo di pseudonimi, a favorire e a permettere lo sviluppo di attività illecite. Esse si esplicano tramite pagamenti transfrontalieri, trasferimenti e raccolte fondi e vengono agevolate da una scarsa, se non assente, procedura di verifica e di monitoraggio. Ciò significa che, lo scambio di denaro viene tecnicamente registrato in un registro pubblico decentralizzato ed eterno (grazie alla tecnologia Blockchain), ma di fatto l’identità degli attori coinvolti rimane celata dietro a nomi fittizi.

Ad oggi, non ci sono software in grado di identificare modelli di transazione anomala o sospetta con ad oggetto valute virtuali. Esistono, invece, tecniche di digital forensics e di blockchain intelligence che consentono di identificare e raggruppare gli indirizzi relativi ai portafogli digitali. Tuttavia, la complessità di questi strumenti rende molto difficile individuare dove porre i presidi al fine di prevenire e contrastare attività con fini illeciti.

Secondo il “Crypto Crime Report” di Chainalysis, società specializzata in analisi su blockchain e cripto asset, nel 2021 il valore delle attività legate a transazioni illecite con le criptovalute ha raggiunto quota 14 miliardi di dollari: quasi il doppio rispetto al 2020, quando era stato di 7,8 miliardi di dollari.

La scelta italiana

Per far fronte al preoccupante incremento degli atti illeciti effettuati tramite criptovalute, il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze) è intervenuto attuando un decreto antiriciclaggio per il mercato crypto. Il 17 febbraio 2022 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Ministero, ecco i punti principali:

  • I principali destinatari sono gli “exchanger” e tutti i “wallet provider”o prestatori di servizi di portafoglio digitale che svolgono la propria attività sul territorio italiano;
  • Istituzione di un registro dei cambiavalute, che diverrà operativo dal 18 maggio 2022. La registrazione a tale registro sarà obbligatoria per tutti gli exchanger o wallet provider operanti in Italia;
  • Ogni tre mesi, gli exchanger e i wallet provider dovranno comunicare all’OAM (Organismo degli Agenti e dei Mediatori) i dati identificativi dei propri utenti, come documento di riconoscimento, luogo e data di nascita, residenza, codice fiscale, indirizzo PEC, e molti altri dati, che variano a seconda che si tratti di persone fisiche o di soggetti diversi da persone fisiche.

Al momento prevedere gli effetti di tale decreto è difficile, ciò che invece si può affermare con certezza è che il governo italiano ha mosso il primo passo nella regolamentazione del mercato crypto e che molti altri ancora dovranno essere fatti, affinché gli operatori di mercato digitali possano effettuare attività finanziare digitali senza correre alcun rischio.